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La COP30 di Belém ha rappresentato un momento cruciale per la diplomazia climatica globale. Tuttavia, il vero cambiamento è stato avviato alla precedente COP29 di Baku. In quest’ultima, le discussioni si sono spostate su basi più concrete e pragmatiche, abbandonando la retorica ideologica.
Il contesto della COP30
L’apertura della conferenza a Belém ha evidenziato le difficoltà già annunciate. Con la partecipazione di 196 Stati, l’assenza degli Stati Uniti, sotto la guida di Donald Trump, ha pesato significativamente. Il boicottaggio da parte degli USA ha fatto da sfondo a un evento che si preannunciava come problematico. Questa situazione è stata accentuata dalla mancanza di supporto da parte di una delle maggiori potenze mondiali e da simboli inquietanti, come un incendio provocato da un generatore diesel.
Contraddizioni evidenti
Il fatto che i generatori abbiano utilizzato diesel, un combustibile noto per il suo impatto negativo sull’ambiente, ha rappresentato un paradosso in un evento dedicato alla salvaguardia del clima. Questo comportamento ha messo in luce una contraddizione fondamentale: mentre il Brasile ospitava la conferenza, il governo continuava a permettere l’estrazione di petrolio nella regione amazzonica, un’area vitale per la salute del pianeta.
Le sfide della transizione energetica
Le discussioni sulla transizione energetica si sono rivelate particolarmente complesse. La questione delle “3 F” – foreste, combustibili fossili e finanza – è stata centrale, ma non è stato possibile raggiungere un consenso. Il Tropical Forest Forever Facility, un fondo progettato per proteggere le foreste tropicali, ha visto un’impasse, nonostante la necessità di investimenti significativi per poter affrontare la crisi climatica in atto.
Finanziamenti e promesse non mantenute
In materia di finanza climatica, esiste un obbligo legale per i paesi sviluppati di supportare i paesi in via di sviluppo. Tuttavia, i finanziamenti necessari sono ancora lontani. Solo 300 miliardi di dollari dei 1.300 miliardi richiesti sono stati promessi. Inoltre, il tema dei combustibili fossili ha generato un acceso dibattito, con alcuni paesi produttori che hanno tentato di escludere ogni riferimento a tali combustibili dal documento finale.
Un futuro incerto per la diplomazia climatica
Le tensioni tra paesi produttori di combustibili fossili e le nazioni che promuovono una transizione energetica giusta hanno reso difficile il raggiungimento di un accordo. La richiesta di una tabella di marcia per una transizione ordinata dai combustibili fossili è stata osteggiata. Nonostante le promesse, la realtà attuale evidenzia che non ci si avvicina agli obiettivi necessari per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C.
Il clima di disinteresse e le priorità geopolitiche che dominano l’agenda internazionale, come le guerre e i conflitti commerciali, hanno contribuito a un senso di rassegnazione. La mancanza di partecipazione da parte di leader globali ha lasciato un vuoto incolmabile nella lotta contro il cambiamento climatico.
Le parole di António Guterres
In questo contesto, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha espresso un forte disappunto, sottolineando che il fallimento nel limitare il riscaldamento globale non è solo un errore politico, ma un fallimento morale. Le parole di Guterres risuonano forti e chiare, richiamando l’attenzione sulla necessità di un impegno collettivo e immediato per salvaguardare il nostro pianeta.
La COP30 di Belém ha messo in evidenza le sfide fondamentali e le contraddizioni della diplomazia climatica contemporanea. Senza un cambio di rotta significativo, il futuro della terra rimane incerto.

