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La digitalizzazione è un tema di grande attualità, ma ci chiediamo: è davvero la panacea di tutti i mali per il settore culturale? Il recente programma della Scuola Nazionale del Patrimonio e delle Attività Culturali, nell’ambito del progetto Dicolab, offre corsi di formazione su marketing digitale, fundraising e tecnologie innovative. Ma prima di esaltare questa iniziativa, riflettiamo un attimo su cosa implica realmente il passaggio al digitale.
Diciamoci la verità: il digitale non è sempre un bene
Il re è nudo, e ve lo dico io: il passaggio al digitale viene spesso presentato come un’opportunità ineluttabile. Tuttavia, non possiamo ignorare il fatto che la digitalizzazione, sebbene utile, non è una soluzione magica. Secondo dati recenti, il 60% delle piccole e medie istituzioni culturali ha difficoltà a implementare strategie digitali efficaci. Questo non è solo un problema di risorse economiche, ma di competenze. L’idea che un semplice corso MOOC possa risolvere anni di mancanza di formazione è una chimera.
Inoltre, il fundraising per la cultura ha subito un cambiamento radicale: non bastano più le buone idee, serve una competenza specifica che spesso il personale del settore non possiede. Ecco perché l’approccio del Ministero della Cultura, sebbene lodevole, rischia di essere superficiale e poco incisivo.
Fatti e statistiche che disturbano
La realtà è meno politically correct: nonostante gli investimenti e le iniziative, il settore culturale italiano si trova in una fase di stallo. Recenti statistiche indicano che nel 2022 il 40% delle istituzioni culturali ha registrato una diminuzione del pubblico rispetto all’anno precedente. La digitalizzazione, quindi, non ha portato a un incremento di visitatori e interesse. Questo fa sorgere spontanea una domanda: stiamo investendo in formazione per ottenere risultati concreti o stiamo semplicemente seguendo un trend senza un’analisi critica?
Il programma finanziato dall’Unione Europea, sebbene promettente, deve affrontare una realtà complessa. Senza una strategia chiara e una visione a lungo termine, il rischio è di disperdere risorse in iniziative che non producono risultati tangibili.
Un’analisi controcorrente della situazione
So che non è popolare dirlo, ma la verità è che la digitalizzazione non può sostituire il valore intrinseco della cultura. Il contatto umano, l’esperienza diretta con opere d’arte e patrimoni storici, non possono essere replicati attraverso uno schermo. Formare il personale MiC e gli utenti esterni è un passo necessario, ma non sufficiente. Dobbiamo pensare a come integrare il digitale con l’esperienza fisica, non come un sostituto.
L’iniziativa Dicolab, pur partendo da buone intenzioni, rischia di diventare un mero esercizio accademico se non si confronta con una realtà in continua evoluzione. La sfida vera è quella di creare un ecosistema in cui il digitale e il fisico coesistano, arricchendo l’esperienza culturale piuttosto che impoverirla.
Conclusioni provocatorie che invitano a riflettere
In conclusione, è fondamentale non lasciarsi abbagliare da facili entusiasmi. La digitalizzazione può essere un’opportunità, ma non è la soluzione definitiva. È necessario un approccio critico e consapevole, che metta al centro non solo la formazione digitale, ma anche la valorizzazione delle competenze tradizionali e l’importanza dell’esperienza diretta. La vera sfida sarà quella di integrare il digitale in modo significativo, creando un futuro culturale che sappia valorizzare le nuove tecnologie senza dimenticare le radici.
Invito tutti a riflettere su queste tematiche e a non accettare passivamente ciò che ci viene proposto. Solo attraverso un pensiero critico possiamo costruire un futuro culturale sostenibile e autentico.