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Diciamoci la verità: la digitalizzazione è presentata come la panacea per tutti i mali delle piccole e medie imprese (PMI), ma siamo davvero certi che rappresenti una soluzione per tutti? Recentemente, l’assessora regionale all’Agenda digitale, Elena Mazzoni, ha sottolineato l’importanza dell’inclusione digitale come leva strategica per la crescita economica dell’Emilia-Romagna. Tuttavia, ci sono dati e realtà che non possiamo ignorare.
Il grande sogno della digitalizzazione
Durante l’incontro con Davide Conte, neo-presidente di Lepida ScpA, è emerso un concetto fondamentale: le PMI sono il cuore pulsante dell’economia regionale. Ma ciò che Mazzoni ha descritto come “opportunità” per aumentare la competitività, in realtà, nasconde una verità scomoda. Infatti, secondo l’Osservatorio Nazionale sulle PMI, solo il 30% delle piccole e medie imprese ha adottato tecnologie digitali avanzate. Questo significa che molti rimangono indietro, e non per mancanza di volontà, ma per scarsità di risorse e competenze. Ma come possiamo pretendere che le PMI si digitalizzino se non hanno gli strumenti necessari per farlo?
Il re è nudo, e ve lo dico io: l’inclusione digitale non è solo una questione di accesso alla tecnologia, ma anche di formazione e supporto. Le PMI spesso non hanno le competenze necessarie per sfruttare appieno queste tecnologie. E qui sorge un problema fondamentale: come possiamo parlare di inclusione quando molte aziende non hanno neanche le basi per iniziare il percorso di digitalizzazione? Non è forse il momento di rivedere le nostre strategie e porre attenzione a chi realmente ha bisogno di aiuto?
La realtà delle disuguaglianze territoriali
La realtà è meno politically correct: le disuguaglianze territoriali e sociali non si riducono con slogan o buone intenzioni. Mazzoni ha giustamente sottolineato la necessità di ridurre queste disuguaglianze, ma le politiche attuate finora non sono sufficienti. Secondo i dati Eurostat, le regioni del sud Italia sono notevolmente indietro rispetto al nord nell’adozione di tecnologie digitali. Un problema che non si risolve con la semplice volontà di inclusione, ma richiede investimenti significativi e strategie a lungo termine. E ci chiediamo: quando avremo il coraggio di affrontare la questione di petto?
In questo contesto, il ruolo di Lepida come attore centrale è cruciale, ma non basta. La collaborazione tra pubblico e privato è un tema frequentemente sbandierato, ma raramente concretizzato. Le PMI devono poter contare su un supporto reale, che non sia solo un’etichetta da apporre su un documento, ma un impegno genuino a fornire le risorse necessarie per un’effettiva digitalizzazione. Non sarebbe giunto il momento di passare dalle parole ai fatti?
Conclusioni disturbanti ma necessarie
Infine, è fondamentale riflettere su quanto sia realmente sostenibile e inclusiva la digitalizzazione così come viene proposta. Le parole di Mazzoni su una strategia inclusiva suonano bene, ma a conti fatti, le PMI hanno bisogno di fatti concreti, non di promesse. La crescita, l’inclusione e l’innovazione non possono essere semplicemente slogan da utilizzare in campagne politiche. È ora di affrontare la realtà con dati alla mano e di chiedere a gran voce che la digitalizzazione non diventi una nuova forma di esclusione, ma una reale opportunità per tutti. Non ci resta che chiedere: chi beneficerà davvero di questa digitalizzazione?
Invitiamo quindi tutti a un pensiero critico: è tempo di smettere di accettare ciò che ci viene detto e iniziare a chiedere perché, come e per chi vengono realmente fatte le scelte in ambito digitale. Solo così potremo sperare in un futuro più giusto e inclusivo per le nostre PMI.