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L’intelligenza artificiale nel pensiero di papa Francesco
Stefano da Empoli, fondatore e presidente di I-Com, saggista esperto di intelligenza artificiale, si interroga su un tema di grande attualità: può essere definito papa Francesco il ‘papa dell’intelligenza artificiale’? Non è solo un gioco di parole. Infatti, il pontefice ha avviato un percorso per comprendere a fondo l’impatto che l’intelligenza artificiale, sia generativa che non, può avere sulla nostra società.
Già a partire dalla “Rome call for AI ethics” nel febbraio 2020, papa Francesco ha dimostrato la sua volontà di coinvolgere le varie religioni nella riflessione sull’importanza dell’IA. Ha affermato: “L’intelligenza artificiale è una frontiera che richiede un discernimento costante. È fondamentale comprenderne i meccanismi per orientarne lo sviluppo a favore del bene comune.” Questo approccio mostra chiaramente come il Papa non si limiti a generalizzazioni, ma entri nei dettagli delle tecnologie AI, promuovendo un dialogo autentico tra la Chiesa cattolica e il mondo della tecnologia.
Un confronto con il pensiero di Romano Guardini
Un altro aspetto interessante del pensiero di papa Francesco è il suo legame con il teologo Romano Guardini, il quale sosteneva che di fronte alla crescente tecnificazione della nostra vita, i cattolici devono affrontare la storia e le sue conseguenze. Guardini scriveva: “Il nostro posto è nel divenire. Dobbiamo inserirci.” Questa riflessione si allinea perfettamente con l’idea di papa Francesco, il quale invita a non fuggire dalle sfide del progresso scientifico ma, al contrario, a utilizzarle per migliorare la società e mitigare gli effetti negativi.
Il Papa, quindi, esprime una visione equilibrata: né demonizzare né idolatrare la tecnologia. Riconosce la necessità di affrontare questa nuova era tecnologica con discernimento e responsabilità. Tuttavia, egli è consapevole che l’IA non è sempre una benedizione; nella sua esortazione apostolica “Laudate Deum”, definisce l’IA come l’ultima e più invasiva manifestazione del ‘paradigma tecnocratico’, che altera il nostro rapporto con la natura e con gli altri.
Le potenzialità e le sfide dell’IA
Nel suo discorso per la Giornata Mondiale della Pace e per la comunicazione sociale del 2024, papa Francesco ha evidenziato le potenzialità dell’intelligenza artificiale, sottolineando la sua capacità di contribuire al bene comune. La sua visione è che l’IA deve essere considerata come uno ‘strumento’, e non come un fine in sé. “L’IA è affascinante e tremenda”, ha affermato, esigendo una riflessione profonda che vada oltre l’immediato.
Il Papa ci invita a riconoscere che l’IA è un riflesso del potenziale creativo umano, un dono che deve essere orientato verso il bene comune. Questo implica la responsabilità di chi sviluppa e utilizza la tecnologia, affinché sia al servizio di tutti e non solo di pochi privilegiati. L’idea di un’IA che amplifica le disuguaglianze sociali è una delle preoccupazioni principali del pontefice, il quale auspica che il progresso tecnologico non diventi mai un motivo di divisione.
Riflessioni sul futuro dell’IA
La visione di papa Francesco ha anche implicazioni politiche e normative. Egli ha esortato le nazioni a collaborare per sviluppare un trattato internazionale che regoli l’uso dell’intelligenza artificiale in tutte le sue forme. Tuttavia, rimane un interrogativo sulla realizzabilità di tali proposte in un contesto di crescente tensione internazionale. È evidente che il futuro dell’IA richiede un approccio etico ‘by design’, come indicato dal Papa, affinché le tecnologie emergenti possano essere utilizzate in modo giusto e responsabile.
In ultima analisi, il messaggio di papa Francesco è chiaro: la tecnologia deve servire l’umanità, e non il contrario. Solo un’umanità che sa evolversi con la tecnologia, mantenendo un forte senso di etica e responsabilità, può affrontare le sfide dell’era dell’intelligenza artificiale. Questa riflessione è tanto più attuale nel contesto della crescente intelligenza artificiale generativa e conversazionale, che ci invita a ridefinire continuamente il nostro posto nel mondo.