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Negli ultimi anni, il settore del fintech in Italia ha vissuto un’evoluzione interessante, caratterizzata da operazioni di fusioni e acquisizioni che hanno catturato l’attenzione degli investitori. Le recenti acquisizioni di aziende come Switcho da Mavriq e FlowPay da Bancomat dimostrano che, pur non essendo unicorni, queste startup hanno saputo costruire una base solida e un team esperto.
Andrea Ferretti, Partner di EY e leader del settore Financial Services in Italia, ha evidenziato durante il convegno Osservatori Fintech & Insurtech del Politecnico di Milano come la lente attraverso cui si osserva il fintech italiano possa essere distorta. Secondo Ferretti, l’approccio è spesso influenzato dai modelli anglosassoni, in particolare quelli di Regno Unito e Stati Uniti, che non si adattano al contesto italiano.
Il contesto del fintech italiano
Secondo una ricerca condotta dal Fintech District, esiste una disparità nella relazione tra fondatori e investitori nel nostro paese, rendendo difficile il loro incontro. I dati sono chiari: in Italia ci sono circa 19.000 startup, con un tasso di fallimento del 6%, mentre negli Stati Uniti e nel Regno Unito i tassi superano rispettivamente il 93% e il 90%. Questo suggerisce che le startup italiane sono più resilienti delle imprese tradizionali, il cui tasso di fallimento è del 10%.
Strategia imprenditoriale
“Se il nostro approccio fosse errato, non avremmo questi numeri”, afferma Ferretti. L’ecosistema italiano, quindi, non ha l’intenzione di trasformarsi in un modello americano, ma piuttosto sta scegliendo un suo percorso distintivo. Le startup italiane non mirano a scalare rapidamente o a quotarsi in borsa; preferiscono integrarsi in filiere industriali, diventando fornitori chiave per banche e assicurazioni.
Un approccio sostenibile
Un altro aspetto significativo del fintech italiano è il suo focus sulla sostenibilità. In contrasto con le fintech americane, che puntano a una crescita esponenziale, le aziende italiane tendono a svilupparsi in modo più graduale, con una revenue mediana di 700.000 euro. Questo modello può apparire limitato, ma è ben allineato con la realtà delle piccole e medie imprese italiane, che sono il cuore del Made in Italy.
Il ruolo delle banche e degli investimenti
Nel panorama italiano, sono le grandi banche a cercare le startup fintech, non viceversa. In questo contesto, il Venture Capital statunitense, che si basa su un modello di investimento ad alto rischio, non trova applicazione. Infatti, in Italia, investendo in dieci fintech, è probabile che tutte sopravvivano, ma nessuna diventerà un unicorno. Questo rappresenta un modello di sostenibilità piuttosto che di crescita frenetica.
Il futuro del fintech in Italia
Ferretti suggerisce una nuova visione per il fintech in Italia, invitando le università, i consulenti e gli investitori a comprendere meglio le aspirazioni delle startup. È essenziale chiedere loro se desiderano integrarsi in settori specifici come l’assicurazione o la gestione patrimoniale, piuttosto che mirare a raccolte fondi di grandi dimensioni.
In questo contesto, il Venture Building emerge come un approccio promettente. Non si tratta del tradizionale venture capital, ma di un metodo di co-costruzione in cui le aziende più grandi collaborano con startup per sviluppare nuove imprese. Questo modello permette di crescere senza dipendere da investitori speculativi, creando sinergie e opportunità di crescita sostenibile.
L’ecosistema fintech italiano non cerca di emulare i giganti globali, ma si concentra su un modello più solido e integrato. Le startup italiane, pur non generando unicorni, stanno costruendo un tessuto imprenditoriale duraturo, basato su competenze e innovazione, fondamentale per il futuro del paese.

