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Diciamoci la verità: l’ecosistema startup italiano sta vivendo un momento di grande difficoltà, soprattutto se lo paragoniamo a quello francese. Prendiamo ad esempio le parole di Francesco Mondini de Focatiis, un growth equity analyst che lavora a Parigi. La sua esperienza ci dice chiaramente che in Italia fatichiamo a costruire una vera e propria cultura imprenditoriale. Visti i risultati del fondo Eurazeo Growth Fund IV, che ha incassato ben 650 milioni di euro, sembra evidente che ci sia qualcosa che ci manca. E non parliamo solo di capitali disponibili, ma di un’intera mentalità. È un tema che deve farci riflettere.
La realtà è meno politically correct: un confronto diretto
Francesco, che ha solo 24 anni, ha avuto il privilegio di conoscere e vivere in due mondi completamente diversi. In Francia, le startup hanno già un percorso ben definito e una mentalità imprenditoriale ben radicata. In Italia, invece, siamo ancora in attesa di quel famoso effetto palla di neve che genera nuove storie di successo. Diciamolo chiaro: le startup di seconda e terza generazione, quelle che dovrebbero emergere dai successi precedenti, sono ancora una rarità nel nostro Paese. E il problema è sotto gli occhi di tutti.
Nel suo viaggio, Mondini ha notato che negli Stati Uniti, e in particolare nella Silicon Valley, è normale investire nel networking di alto livello. E qui in Italia? Qui sembra quasi immorale chiedere un compenso per entrare in contatto con investitori e leader del settore. Questa mentalità non fa altro che ostacolare chi sogna di lanciarsi nel mondo delle startup. È ora di fare un esame di coscienza: come possiamo aspettarci di crescere se non siamo disposti a investire nei nostri legami professionali?
Statistiche scomode: il gap di esperienza
Le cifre parlano chiaro: nell’ultimo anno, la Francia ha registrato un incremento del 30% delle startup create. E noi? L’Italia è rimasta sostanzialmente stagnante. Ma non si tratta solo di numeri; qui entra in gioco una questione di cultura e supporto. Il governo francese ha messo in campo incentivi fiscali e programmi di supporto per chi decide di avviare una nuova impresa. In Italia, invece, ci troviamo a dover fare i conti con una burocrazia opprimente e con una mancanza di riferimenti chiari. È un vero campo minato per chi vuole intraprendere un’attività.
La differenza, secondo Mondini, è lampante: “In Francia ci sono operatori con 20 anni di esperienza nel settore, mentre in Italia non abbiamo sufficienti esempi di successo che possano fungere da ispirazione”. Le storie di unicorni in Italia sono ancora troppo poche e lontane da una vera cultura di scaleup. È un dato di fatto: il nostro ecosistema non è ancora pronto a sostenere le aziende che aspirano a diventare grandi. E questo è un vero peccato.
Conclusioni provocatorie: cosa ci manca?
Il re è nudo, e ve lo dico io: l’Italia ha bisogno di una scossa per risvegliare il suo potenziale imprenditoriale. Non bastano talenti brillanti e università di prestigio; serve un sistema che incoraggi e supporti l’innovazione. Mondini mette in evidenza l’importanza di un buon mentoring e dell’esperienza: “Ci sono ottimi talenti, ma manca la guida di grandi imprenditori”.
Se vogliamo che il nostro ecosistema cresca e si sviluppi, dobbiamo abbracciare una mentalità più aperta, accettare il rischio e, soprattutto, imparare dai successi altrui. Solo così potremo iniziare a creare la nostra “mafia di PayPal” e generare le storie di successo che ci mancano. È tempo di smettere di lamentarci e di iniziare ad agire!
Invito tutti a riflettere su queste differenze e a considerare come possiamo migliorare. Possiamo restare a guardare, oppure possiamo agire per cambiare le cose. La scelta è nostra e il futuro è nelle nostre mani.